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Eterotopie della Val d’Elsa

“Le cose sono là che navigano nella luce, escono dal vuoto per aver luogo ai nostri occhi. Noi siamo implicati nel loro apparire e scomparire, quasi che fossimo qui proprio per questo. Il mondo esterno ha bisogno che lo osserviamo e raccontiamo, per avere estistenza. E quando un uomo muore porta con sé le apparizioni venute a lui fin dall’infanzia, lasciando gli altri a fiutare il buco dove ogni cosa scompare.”

Gianni Celati, Verso la foce, Milano, Feltrinelli, 1989.

Non è ancora scomparso il paesaggio della Val d’Elsa: colline dolci terminano in campi brulli ed argini spogli che aspettano di essere coltivati, edifici anonimi e fabbriche abbandonate riempiono un ambiente che respira a fatica, paesi pieni di gente che guarda ma non vede.

Si tratta dell’eterotopia valdelsana, ovvero il fiume Elsa, uno spazio formato da tanti luoghi eterotopici dove la gente transita senza comprendere l’ambiente intorno a sé. Il termine eterotopia, coniato dal filosofo francese Michael Foucault nel 1960, si riferisce ad un luogo in cui l’individuo, attraverso le proiezioni che crea all’interno della

sua mente, annulla, purifica o completa lo spazio in cui si trova. Così facendo, il luogo in qualche modo, assorbe tutte le rappresentazioni mentali delle persone e sulla base di questi significati viene plasmato dall’uomo stesso.

Al giorno d’oggi, un paesaggio contiene in sé talmente tanti elementi che è pressoché impossibile attribuirgli un’unicità; la metropoli è un esempio lampante di quante sfaccettature un ambiente può assumere. Alberto Magnaghi, un architetto urbanista contemporaneo, afferma che stiamo attraversando un periodo di de-territorializzazione in cui l’uomo ripone nella tecnologia una fiducia cieca, tale da credere che la costruzione di un ambiente completamente artificiale possa risolvere le crisi dei sistemi ambientali e territoriali. Sempre secondo Magnaghi, questa fiducia deriva dalla crescente industrializzazione che, poco a poco, mangia lo spazio vitale degli ambienti rurali, indebolendo sempre di più le barriere tra la città e la periferia.

La continua edificazione di palazzi e fabbriche modifica l’approccio delle persone al territorio, riducendo al minimo il contatto con quest’ultimo, ma è esattamente da qui che si deve ripartire affinché venga riconosciuto il giusto valore all’ambiente. Alberto Magnaghi crede che l’interesse da parte degli abitanti sia ciò che determina la salvaguardia dell’ambiente:

la cura costante portata avanti giorno per giorno fa sì che il territorio si mantenga “puro”, senza che le proiezioni mentali delle persone vadano ad intaccare il senso del territorio stesso.

Queste riflessioni, insieme ai lavori di fotografi come Luigi Ghirri, Alec Soth, Nadav Kander, hanno costituito la base della mia ricerca fotografica riguardo l’ambiente del fiume Elsa e dei suoi abitanti. Il mio intento era quello di intraprendere un viaggio alla scoperta di un territorio che rappresenta casa ma che, allo stesso tempo, risulta sia a me che al resto degli abitanti estraneo. Il fiume e l’ambiente sono i protagonisti di un’atmosfera eterotopica, dove il luogo che abbiamo sempre immaginato diventa uno spazio altro.

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